L’intervista – Dr. Maurizio Gentile
Alla fine degli anni 80 Catania si distinse a livello nazionale per il buon esito dei trapianti di cuore che venivano effettuati all’ospedale Ferrarotto. C’era un’equipe particolarmente affiatata e capace che riuscì sovente a meritarsi gli onori della cronaca. Di questa equipe faceva parte tra gli altri anche il dott. Maurizio Gentile oggi, da ben 22 anni, operatore al Centro cuore di Pedara. A lui dedichiamo lo spazio intervista di oggi.
Dott. Gentile, è stato traumatico il passaggio da una struttura pubblica, il Ferrarotto, nella quale lavorava da anni, al gruppo Morgagni di cui ancora oggi fa parte?
“Non sarebbe esatto dire traumatico ma certamente non è stata una scelta facile. In quegli anni, tra la fine degli Ottanta e gli inizi dei Novanta, sorsero dei problemi che ci resero in qualche modo la vita difficile. Nel 96 accolsi con entusiasmo l’opportunità di venire ad unirmi a questo gruppo e non rimpiango affatto la scelta. Oggi faccio parte di un gruppo di operatori del cuore assolutamente di primo piano con i quali è facile ed entusiasmante lavorare”.
Qual è esattamente oggi il suo ruolo al Centro Cuore di Pedara?
“Sono un senior consultant, cioè un consulente anziano. In pratica offro la mia esperienza ai cardiochirurghi più giovani ma non mi limito a questo. Opero e sono felice di farlo. Dopo quarant’anni di attività nel settore posso ben dire che il cuore per me non ha segreti e ogni volta che effettuo un intervento riesco a mettere in pratica gli anni di esperienza maturata”.
Ha svolto la sua attività sempre e solo a Catania?
“Assolutamente no. Ho alle spalle una formidabile esperienza all’ospedale Marielaneelogue di Parigi dove sono stato peer un anno, nel 1981, medico interno. Questa espeienza mi è servita molto, mi ha profondamente maturato dal punto di vista professionale. Consideri con non avevo ancora trent’anni. Quando sono tornato a Catania avevo le spalle più forti e non mi è stato difficile inserirme nello staff di cardiochirurghi del Ferrarotto”.
Dove avete avviato con successo la cosiddetta stagione dei trapianti…
“Sì, ho ricordi bellissimi di quei tempi. Ci sentivamo in qualche modo i discepoli siciliani del grande Cristian Barnard. Abbiamo effettuato in pochi mesi una cinquantina di trapianti, quasi tutti con esiti positivi. E ricordo la grande soddisfazione che provavamo noi giovani cardiochirghi, io, il dott. Patanè, il dott. Bartoloni, quando vedevamo i risultati del nostro lavoro. Erano anni pioneristici e mi inorgoglisce il pensiero di avere fatto parte di una squadra catanese di trapiantisti”.
Oggi i trapianti sono un ricordo ma il lavoro qui alla Morgagni mi pare proprio che non le manchi…
“Infatti. Consideri che nella mia carriera ho eseguito più di cinquemila interventi. Spesso mi capita oggi di incontrare persone che ho operato e che stanno bene, che vivono una vita assolutamente normale e che magari mi abbracciano con riconoscenza, rivedendomi tanti anni dopo. Sono gioie autentiche che non sono paragonabili a nulla. La gente che vive e sta bene dopo essere stata operata al cuore è un bagliore di luce in un mondo fatto oggi purtroppo di precarietà e individualismo”.
Nella sua lunga carriera le sarà anche capitato di provare qualche cocente delusione…
“Certamente, e sa qual è la più cocente? Non essere riuscito ad intervenire per la paura del paziente di essere operato. Quando sai del decesso bruci dentro perché sai che magari se fosse stato eseguito l’intervento il paziente forse si sarebbe salvato. Ma tante volte, è comunque comprensibile, ci troviamo di fronte a chiusure assolute. Pazienti che ci dicono “fatemi tutto ma non toccatemi il cuore”, come si fa ad intervenire senza il consenso, loro e dei familiari?
Dott. Gentile parliamo adesso della sua famiglia.
“Sono sposato e ho due figlie. Mia moglie è francese, l’ho conosciuta e me ne sono innamorato durante la mia permanenza a Parigi. Era infermiera nell’ospedale in cui lavoravo. Tornato a Catania sono riuscito a farmi raggiungere e, superata qualche comprensibile remora, Cristina ha lavorato qui alla Morgagni, nel raparto rianimazione, dove fino a un paio di mesi fa, ora è in pensione, è stata capo infermiera. Le mie figlie sono entrambe laureate in Medicina e si stanno specializzando a Torino. Insomma, la dinastia continua. E ne sono felice”.
GIGI MACCHI
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