LA RIABILITAZIONE IN ACQUA
L’acqua è l’elemento essenziale per la vita. In essa trascorriamo le prime fondamentali e delicate fasi della nostra esistenza. Durante le prime 42 settimane di vita ognuno di noi ha vissuto come un animale acquatico, immerso nel liquido amniotico. Allo stesso modo durante la filogenesi le prime forme di vita si sono sviluppate in acqua circa 4 miliardi di anni fa, e sono stati necessari miliardi di anni affinché la vita approdasse alla terra ferma.
Anche negli animali terrestri l’acqua resta elemento essenziale per la vita, essendo sul piano quantitativo l’elemento più abbondante in tali animali, ed è fondamentale per lo svolgimento delle reazioni chimiche necessarie per il mantenimento dell’omeostasi in ogni essere vivente. Nonostante la nostra specie (homo sapiens sapiens) rappresenti il culmine della filogenesi, ha conservato nelle proprie funzioni il ricordo atavico delle proprie origini. Quando il viso viene immerso in acqua, si verifica la risposta o riflesso di immersione (diving response o reflex). Essa è posseduta da tutti i vertebrati terrestri, e viene elicitata dall’apnea. Consiste in una vasocostrizione periferica e una iniziale ipertensione sostenute entrambe da un’attivazione simpatica, una bradicardia indotta da una attivazione vagale, e un aumento della concentrazione dell’emoglobina dovuta a una contrazione splenica. Il riflesso di immersione ottimizza la funzione respiratoria distribuendo preferenzialmente le riserve di ossigeno al cuore e al cervello. Ciò consente di rimanere sott’acqua per lunghi periodi di tempo. È espressa fortemente nei mammiferi acquatici (foche, lontre, delfini, castori) ma esiste in altri mammiferi, compresi gli umani, in particolare i bambini fino a 6 mesi di età (nuoto infantile).
L’uso dell’acqua per finalità terapeutiche (intendendo tale termine nella sua accezione più ampia, cioè di strumento finalizzato non solo alla cura di condizioni patologiche, ma anche al benessere fisico, psichico e relazionale dell’individuo, è conosciuto da migliaia di anni in tutto il mondo. Ad esempio gli antichi Greci e Romani abitualmente utilizzavano le acque termali per migliorare la circolazione e favorire il rilassamento. Ippocrate sosteneva che fare il bagno nelle acque sorgenti aveva una funzione terapeutica. Allo stesso modo i monaci svizzeri erano noti per usare le acque termali per curare i malati o i disabili della loro comunità. In tempi relativamente più recenti nel 1911 Charles Leroy Lowman, fondatore dell’Ospedale Ortopedico di Los Angeles, iniziò a usare vasche terapeutiche per curare pazienti spastici, e nel 1937 pubblicava un saggio in tema di “Tecnica di Ginnastica Subacquea”, in cui definiva un metodo finalizzato alla prevenzione delle deformità osteo-articolari e al ripristino delle funzioni neuromuscolari, specificando la tipologia, la durata e la frequenza degli esercizi da eseguire in ambiente acquatico. Ai nostri giorni l’esercizio in acqua spazia da diverse attività sportive (nuoto, pallanuoto, nuoto sincronizzato), fino a interventi di tipo riabilitativo, che vengono definiti con i termini di idrokinesiterapia o terapia acquatica. La specificità e l’efficacia di tale modalità kinesiterapica è da correlare alle peculiarità del contesto in cui essa viene eseguita. L’acqua, con le sue proprietà fisico-chimiche, rappresenta un mezzo nel quale la forza di gravità è bilanciata dalla spinta idrostatica. Secondo il principio di Archimede «ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido (liquido o gas) riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto, uguale per intensità al peso del volume del fluido spostato». Ciò permette all’individuo di esercitarsi in attività di movimento, confrontandosi con forze esterne ridotte. A ciò consegue la riduzione del rischio di subire effetti dannosi sulle proprie strutture corporee muscoloscheletriche e ligamentose. Eseguire esercizio in acqua significa pertanto poter sfruttare un effetto facilitatorio correlato alla forte riduzione della forza di gravità, rendendo possibile l’esecuzione da parte dell’individuo in training di movimenti ed esercizi, che sarebbero impossibili o comunque difficili da eseguire in ambiente terrestre, e così esercitandosi, di ottenere il recupero di schemi di movimento che, pur parzialmente evocabili dopo l’evento patologico, non essendo stati più esercitati, sono stati “dimenticati”.
Le attività di riabilitazione in acqua possono essere adattate per eseguire esercizi contro resistenza, contrastando la spinta idrostatica verso l’alto, o per facilitarla. La immersione diminuisce il carico corporeo fino al 90% quando l’individuo si immerge fino al collo. Ciò consente a un individuo che non sia capace di sostenere il proprio peso corporeo in ambiente terrestre, di essere in grado di eseguire il cammino bipede. Altri benefici della galleggiabilità consistono nel supporto di muscoli deboli, nel miglioramento della flessibilità e della gamma di movimento e nell’aumento della facilità di trattamento per il terapeuta.
Sebbene esistano diverse modalità di esercizio in ambiente acquatico, le più comunemente citate in letteratura sono l’esercizio in acque profonde, l’esercizio in acque poco profonde, la ginnastica in acqua (esercizio callistenico) e il tapis roulant subacqueo. L’esercizio in acque profonde consiste in attività di cammino o corsa in acqua senza alcun contatto con il pavimento della piscina. In genere questa tipologia di esercizio implica minimi spostamenti in acqua, e per sospendere il partecipante, affinchè non si realizzi alcun contatto con il suolo, vengono usati ausili, quali gilet o cinture di galleggiamento (Reilly et al., 2003). L’esercizio in acque poco profonde (shallow water) viene tipicamente eseguito a profondità tali da avere l’immersione del paziente fino al processo xifoideo (Dowzer, Reilly, Cable e Nevill, 1999). Prevedendosi in tal modo il contatto al suolo, i partecipanti possono eseguire attività di corsa o di cammino in acqua (Gappmaier, Lake, Nelson, e Fisher, 2006). La ginnastica idrica consiste nell’esecuzione di esercizi aerobici e esercizi di allenamento di resistenza solitamente nel settore a minore profondità di una piscina (Cassady & Nielsen, 1992). Questa modalità di esercizio acquatico include qualsiasi tipo di esercizio eccetto il cammino e la corsa in acqua. Il tapis roulant subacqueo consente attività di cammino in acqua attraverso l’uso di tapis roulant subacquei (Gleim e Nicholas, 1989). Alcuni di tali strumenti includono getti d’acqua regolabili (Rutledge, Silvers, Browder e Dolny, 2007), che consentono al terapista di modificare le forze di resistenza orizzontale nella progressione degli arti inferiori in acqua. Altri tapis roulant sottomarini consentono al terapista di variare la profondità di immersione del paziente, in modo da regolare le forze di reazione al suolo verticali che vengono applicate al partecipante. Controllando sistematicamente le forze resistive orizzontali e le forze di reazione al suolo verticali, si può graduare l’intensità dell’esercizio.
(Denning, Bressel, & Dolny, 2010).
L’idrokinesiterapia viene utilizzata nella riabilitazione di individui con compromissioni delle funzioni correlate al movimento, derivanti da diverse condizioni patologiche. Tra queste sono da considerare in primo luogo le patologie del Sistema Nervoso Centrale. Una recente review, che ha analizzato 20 articoli (tra i quali 4 studi sperimentali randomizzati-controllati, e 3 non randomizzati), ha evidenziato una chiara efficacia della idrokinesiterapia nel recupero funzionale dell’equilibrio dinamico e della velocità del cammino in diverse condizioni neurologiche. Tra queste si annoverano le lesioni midollari, l’ictus cerebrale, la malattia di Parkinson, la sclerosi multipla, le neuropatie periferiche, le miopatie, le paralisi cerebrali infantili. Nel caso delle patologie neurologiche, essendo la condizione di disabilità correlata principalmente a una compromissione motoria, l’idrokinesiterapia rappresenta un’opportunità terapeutica di prima grandezza.
In tali condizioni spesso il deficit di forza si associa ad alterazioni del tono muscolare, come la spasticità (ad es. nell’ictus cerebrale e nelle mielolesioni), o la rigidità (ad es. nel Morbo di Parkinson). In tali circostanze l’esercizio in acqua, facilitando una condizione di rilassamento muscolare, diviene condizione sufficiente per l’emergenza della motricità volontaria, essendo pertanto efficace per la riabilitazione delle condizioni comportanti sia spasticità, sia rigidità. In particolare nelle sindromi del primo motoneurone, che si caratterizzano per la presenza della spasticità, quali le paralisi cerebrali infantili, l’ictus cerebrale, la sclerosi multipla, o le mielolesioni, nell’ambiente acquatico, data la riduzione della forza di gravità determinata dalla spinta idrostatica, viene eliminata una fondamentale fonte di disturbo del movimento volontario, consistente nella cosiddetta co-contrazione agonisti-antagonisti, in quanto i muscoli agonisti paretici (ad esempio gli estensori per gli arti superiori ed i flessori per gli arti inferiori) non riescono ad esprimere la propria azione di movimento perché contrastati dagli antagonisti iperattivi (cioè spastici). In tal modo si facilità l’emergere della motricità volontaria grazie alla riduzione della forza di gravità, che agendo sull’iperattività del riflesso da stiramento, ostacola la capacità di eseguire movimenti volontari finalizzati. Nel caso dell’ipotonia, che si riscontra sia nelle paralisi per interessamento del sistema nervoso periferico, sia nelle condizioni interessanti il sistema muscolare (miopatie), sia nelle discinesie ipercinetiche, quali la coreo-atetosi, l’esercizio in condizioni di riduzione della forza di gravità, eseguito in un medium (l’acqua) con densità elevata, riducendo il rischio di movimenti con elevate accelerazioni, limita la possibilità di danno osteo-articolare, correlato a escursività articolari eccessive, così frequenti quando la riduzione del tono muscolare (ipotonia), impedisce al sistema neuromuscoloscheletrico di bilanciare gli effetti traumatici che i movimenti attivi e/o passivi possono determinare sull’apparato osteo-articolare. Ciò, comportando esperienze di movimento molto vicine alla fisiologia, data la plasticità del sistema nervoso, determina la creazione di memorie di movimento, che con la ripetizione divengono sempre più stabilmente impresse nei circuiti neurali dell’individuo in training riabilitativo. Questi pertanto, giovandosi dell’esperienza vissuta in un contesto facilitato (cioè l’ambiente acquatico), può acquisire una competenza da trasferire in ambiente terrestre. In casi di tal genere, la sperimentazione di schemi di movimento volontario, impossibili da eseguire a secco, comporta la possibilità di iniziare un percorso di apprendimento di alcune abilità motorie di base (ad esempio la deambulazione).
Esiste una crescente mole di evidenze scientifiche attestanti l’efficacia dell’esercizio acquatico, nel ridurre il carico patologico delle condizioni muscolo-scheletriche, sia per eventi traumatici, sia per eventi degenerativi o infiammatori, nella fase pre e/o post-chirurgica in ambiti quali le protesi di anca e ginocchio, ernie discali, lesioni del legamento crociato anteriore o dei menischi, fratture, distorsioni, artrosi, osteoporosi, lesioni muscolari e tendinee. In tale ambito patologico, essendo danneggiato l’apparato di sostegno del corpo, l’idrokinesiterapia diventa una modalità di trattamento elettiva, in quanto l’esercizio con finalità terapeutiche può essere eseguito sia in condizioni di forte riduzione del carico, sia con carico variabile, attraverso l’uso di strumenti che permettono di variare il livello di immersione nell’acqua, (ausili galleggianti di diverso volume), e agendo su altri fattori quali la velocità e la resistenza all’esecuzione dell’esercizio, con la conseguenza di determinare una diversa stimolazione propriocettiva, è possibile ottenere il recupero della funzione inerente il controllo della postura in senso antigravitario, senza incorrere nei pericoli che un esercizio eseguito a secco comporta. Pertanto i benefici dell’esercizio acquatico derivano dagli effetti fisiologici dell’immersione e dai principi idrodinamici che caratterizzano l’esercizio fisico eseguito in tale ambiente. La galleggiabilità diminuisce gli effetti del peso corporeo, consistente in sollecitazioni di carico compressivo sulle articolazioni e permette un esercizio funzionale con carico gravitazionale ridotto, migliorando sia la forza che l’escursività articolare (ROM o Range Of Motion o raggio di movimento). Inoltre, l’immersione in acqua termo-neutra (34 gradi Celsius) diminuisce l’attività del sistema nervoso simpatico, che in combinazione con gli effetti compressivi della pressione idrostatica, può ridurre l’edema e la percezione del dolore nelle persone con condizioni muscolo-scheletriche.
Anche i pazienti con patologia di pertinenza cardiologica possono trovare grande giovamento nell’eseguire la riabilitazione in ambiente acquatico, al fine di promuovere la cosiddetta fitness cardiorespiratoria. Ad esempio nello scompenso cardiaco l’esercizio in acqua, nel passato ritenuto potenzialmente rischioso a causa dell’aumento del ritorno venoso causato dalla pressione idrostatica, oggi viene considerato utile in quanto è ormai noto che la funzione cardiaca migliora effettivamente durante l’immersione in acqua a causa dell’aumento del riempimento diastolico precoce e della diminuzione della frequenza cardiaca, con conseguente miglioramento della frazione di eiezione. Nei pazienti con patologia coronarica in condizioni di stabilità clinica possono mantenere o lievemente incrementare il funzionamento cardiologico e incrementare la tolleranza all’esercizio fisico, diminuire la frequenza cardiaca e incrementare la capacità di consumo di ossigeno durante l’esercizio fisico.
La kinesiterapia eseguita in ambiente acquatico gode delle potenzialità che tale contesto offre: l’acqua svolge funzione di sostegno, permette esercizi a basso rischio di traumatismi con riduzione dell’ansia di cadere da parte del paziente, e aumenta il livello di aderenza alle proposte di esercitazione con finalità recuperativa. L’idrokinesiterapia è pertanto una metodica riabilitativa particolarmente indicata per pazienti in condizione di particolare “fragilità”, quali bambini ed adulti con compromissioni neurologiche, individui con gravi politraumatismi, anziani a rischio di caduta con osteoporosi. Tale metodica in un’ottica sequenziale progressiva può rappresentare la prima fase di un intervento riabilitativo polimodale, nell’ambito del quale il sostegno dell’acqua può essere particolarmente utile nella fase in cui il soggetto con deficit motorio deve cominciare ad affrontare il recupero della capacità di confrontarsi efficacemente con la forza di gravità. In questo senso l’esercizio acquatico in alcuni casi rappresenta un contesto facilitante e protettivo, e diviene modalità privilegiata nei casi in cui la forza muscolare antigravitaria, essendo deficitaria, impedisce l’esecuzione di esercizio riabilitativo in ambiente terrestre. Pertanto tale modalità di intervento offre la possibilità di completare il range dell’offerta prestazionale riabilitativa con uno strumento la cui efficacia è testimoniata tanto da evidenze scientifiche quanto dall’apprezzamento dei pazienti.
ANTONIO VISCUSO
Neurologo Policlinico Morgagni Catania
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